Antonio Centonze, apprezzato maestro panificatore di Miglionico, comune non distante da Matera, ha partecipato nel 2014 al progetto di contaminazione culturale “Pane Nostro”, promosso dalla giornalista Rosita Stella Brienza, che lo ha portato, insieme ad altri colleghi lucani, a confrontarsi con i panettieri palestinesi a Betlemme, nel Forno Salesiano. Centonze, arrivato in Terra Santa con la sua semola e il lievito madre, ha anche cooperato alla riorganizzazione dei macchinari del Forno perché producessero meglio e di più.
Recentemente, ancora insieme alla dott.ssa Brienza, è stato protagonista dell’intervista-laboratorio “Pane Nostro: dialogo di pace lungo le vie del pane”, organizzato da Spazio Mediterraneo nell’ambito dell’evento FuturoRemoto 2016, dove a tanti visitatori ha insegnato a fare il pane e raccontato con passione “dell’invenzione più bella dell’uomo”.
Antonio Centonze ė panificatore in Basilicata in un forno di lunga tradizione…
Un forno aperto a Miglionico da mio padre insieme ai fratelli nel 1969, al suo rientro in Italia dopo anni da emigrante in Germania. Da allora il forno non ė mai stato spento e per fare il pane utilizziamo il lievito madre, continuamente rinfrescato, che deriva da quello preparato con la ricetta che, all’apertura, mio padre ottenne da Don Mario Spinelli dell’antico convento del luogo.
Il lievito madre è il segreto del buon pane?
Il lievito madre è il cuore pulsante del pane, gli conferisce colore, gusto e leggerezza perché è la caratteristica alveolatura che crea a dare al pane maggiore digeribilità.
Ogni giorno ne impastiamo circa 15 chili con la stessa quantità di farina e la metà di acqua sino ad avere un impasto duro, corposo, che messo a riposare a temperatura ambiente per quattro ore, coperto da un telo umido, forma al suo interno degli alveoli che già sono la mollica del pane. Ė importante questa lievitazione lenta che serve proprio a “snervare” l’impasto.
Poi aggiungiamo 20-25 grammi di lievito per ogni chilo di farina e solo alla fine il sale, in quantità ridotta rispetto al passato, 21/22 grammi per chilo. La clientela certamente si è accorta del cambiamento e lo ha accettato sia perché consapevole che il sale va limitato per motivi di salute, sia in ragione del gusto perché il sapore del pane non deve scavalcare quello dell’alimento che lo accompagna. Se mangiamo pane e pomodoro, ad esempio, il sapore del pane non deve superare la sapidità del pomodoro.
È possibile fare un pane davvero buono in casa? E con quale ricetta?
È possibile e non difficile con due ingredienti base: una buona semola rimacinata di grano duro, che regala al pane il colore giallo del sole e del grano, e il lievito madre che va rinfrescato e conservato in frigo.
Si parte impastando la stessa quantità di lievito madre e di farina e la metà di acqua e lasciando poi riposare per quattro ore. Di seguito, per ogni kg di farina ne serviranno 200 grammi da lavorare con circa 1/2 litro d’acqua e 21/22 grammi di sale. La quantità d’acqua necessaria ė relativa in quanto connessa alla quantità che ne assorbe la farina utilizzata a seconda della sua qualità.
Il secondo impasto, messo a riposare a temperatura ambiente da 30 a 45 minuti, deve crescere fino a raddoppiare, poi si taglia dando la forma preferita alle pezzature (panini, ciambella, treccia, schiacciatina, rosette) e si lascia ancora riposare per 10/15 minuti. Infornare ad una temperatura che non deve superare i 220º per 40/45 minuti.
Anche la temperatura e il tempo di cottura dipendono dal tipo di farina utilizzata. Occorre leggere le caratteristiche riportate in etichetta: se la farina ha un contenuto di proteina di 0,9, quindi bassissimo, il pane, per cuocere bene, avrà bisogno di maggior calore e la temperatura del forno dovrà essere di 220º per andare ad aggredire subito l’acqua contenuta nell’impasto; se, invece, la proteina ė 0,13 la farina è “forte” e si potrà cuocere il pane ad una temperatura più dolce, intorno ai 200º. Forno statico per mezz’ora, poi si apre leggermente lo sportello (in mancanza dell’apposita valvola) per far fuoriuscire il vapore e si fa continuare la cottura per altri 10/15 minuti. Si sforna e si mette in piedi sul fianco per farlo raffreddare creandogli attorno una buona circolazione dell’aria.
Questo tipo di pane si mantiene bene per più giorni, come va conservato?
Va conservato ancora caldo in panni di lana così asciuga in modo perfetto portando il calore dall’interno all’esterno. Se ben conservato supera la settimana arrivando anche a 10 giorni.
Ogni esperienza di vita è un momento di crescita personale: come valuta l’esperienza avuta in Terra Santa partecipando a “Pane Nostro”, progetto di condivisione della cultura del pane?
Ė stata un’esperienza interessante e formativa. Sono partito con la convinzione di dover portare in quella terra, insieme al lievito madre, la mia cultura, il mio saper fare, per insegnare qualcosa dell’arte bianca agli altri, con un atteggiamento inconsciamente arrogante. Appena arrivato a Betlemme mi sono reso conto che non trasmettevo solo le mie conoscenze ma imparavo tanto dalle persone del luogo, ad iniziare dalla cultura del rispetto di un cibo così importante che se avanza non va buttato ma conservato. Un insegnamento che, tornato a casa, mi ha indotto a cambiare l’impostazione della produzione del mio panificio, riducendo con razionalità i quantitativi di pane giornalieri, senza sprechi da consumismo sfrenato.
In quelle terre senza pace il pane ha un grande valore e mi ha colpito molto vedere i bambini, anche piccoli, andare a prenderlo ai forni per portarlo a casa in una situazione di vita dura e difficile tra guerriglia e coprifuoco, con difficoltà quotidiane impensabili.
Dal tono delle sue parole si avverte che ne è rimasto davvero colpito…
Molto colpito, ad iniziare dalle limitazioni alla vita di tutti i giorni, basti pensare alle difficoltà di spostamento all’interno dello stesso territorio. Io, non volendo, ho sfidato il coprifuoco notturno.
Durante la prima visita al Forno Salesiano dove dovevamo fare il nostro pane, ero rimasto affascinato da un vecchia impastatrice. La notte, non riuscendo a dormire, ho deciso di andare al forno per capirne il funzionamento durante l’attività. Non sapevo del coprifuoco e sono uscito tranquillamente: non solo la vigilanza all’ingresso dell’alloggio dove risiedevamo non si è accorta di niente quanto, una volta uscito, ho percorso a piedi (senza alcun problema per fortuna!) almeno un paio di km. Arrivato a destinazione c’è stata grande agitazione per il pericolo che avevo corso e scampato ed anche paura per una mia eventuale segnalazione come soggetto da controllare.
Dell’esperienza in Terra Santa che ha definito interessante e formativa oggi cosa le resta?
Senza dubbio la consapevolezza che la pace deve essere il credo che deve unire tutti gli uomini di buona volontà, a prescindere dalle differenze di fede religiosa, e che il pane, il cibo da spezzare e condividere, deve essere il suo simbolo. E vorrei sottolineare il “deve essere”…
Quali sono le sue impressioni sulla recente partecipazione a FuturoRemoto?
È stata un’esperienza entusiasmante per la possibilità d’incontro con tanta varia umanità in un luogo completamente diverso dal panificio. Il tempo relativamente breve dedicato ad ogni gruppo è stato compensato dalla possibilità di moltiplicazione del messaggio che era alla base del nostro laboratorio: l’invenzione più bella nella storia dell’umanità è il pane e finché dai forni uscirà il suo profumo vi sarà speranza di dialogo e pace tra gli uomini.
Intervista di Serenella Gagliardi