Ho conosciuto Luigi Diotaiuti ad una kermesse enogastronomica, anticipato sul maxi schermo dall’immagine di un uomo sorridente sullo sfondo della Casa Bianca, presentato come l’Ambasciatore della Cucina Lucana nel mondo, lo chef di successo che, partendo da Lagonegro in Basilicata, con due ristoranti a Washington, “Al Tiramisù” nato nel 1996 e il più recente “Aperto DC”, ha conquistato e fidelizzato il gusto di una ricercata clientela americana. Nel suo intervento, con grande forza comunicativa, dichiarava di perseguire l’obiettivo non solo di crescere oltreoceano come imprenditore ma di utilizzare le proprie energie per progetti di sviluppo della sua terra d’origine coerenti all’identità dei luoghi.
L’ho rincontrato nel Vulture in una bella giornata d’autunno ancora riscaldata dal sole e, passeggiando tra i filari di Aglianico colorati dalle foglie rosse, mi ha regalato il ricordo delle proprie radici, mai rinnegate, legate al mondo contadino, annodando con tenera leggerezza gli impegni che le campagne di Macilimieri richiedevano anche ai più giovani alle storie di una famiglia numerosa che nel tempo ha mantenuto ben saldi i legami.
Poi altri incontri fino ad oggi e ogni volta la conferma di avere di fronte una persona capace di empatia e di conquistare gli altri con l’entusiasmo e la voglia di fare, una persona con un atteggiamento nei confronti della vita che innesta sulla solidità delle radici lucane la passione mediterranea e dinamismo yankee.
Credo che la formula del successo dello chef Diotaiuti stia in questo riuscito mix, immagino che realizzarlo sia costato tanta fatica…
È così, il successo di oggi parte da lontano, da un modello di vita dove ogni cosa era divisa per otto, tra i genitori e noi sei figli, dal cibo ai compiti da assolvere appena svegli, prima di mangiare pane e latte caldo e poi andare a scuola. Con 250 capre e 150 mucche podoliche, orto e campi di grano il lavoro da fare era tanto, ogni giorno, ed anche se c’era una festa non si poteva partecipare tutti insieme perché doveva sempre restare qualcuno a sorvegliare animali e terre. Ho ricevuto un’educazione basata su impegno, responsabilità, uguaglianza e rispetto degli altri e questi valori sono stati i principi che mi hanno sempre guidato, la vera eredità familiare che mi è stata trasmessa.
Il ricordo del passato, dall’infanzia alla gioventù, quale sapore richiama alla memoria?
Quello dei fagioli che cuocevano nel “pignatiello” sempre in uso vicino al fuoco. Quando tornavo da scuola stanco e affamato buttavo subito un pezzo di pane nella zuppa calda… La mia più vecchia memoria del gusto sono i fagioli, forse per questo li amo in modo particolare.
La tua storia professionale inizia presto e parte proprio dalla decisione di frequentare l’Istituto Alberghiero…
Devo ringraziare per questa scelta mio padre che mi fermò quando volevo partire per fare l’operaio al Nord e mi fece scegliere tra l’andare a scuola all’Istituto Alberghiero o lavorare con lui. Ricordo che quando arrivò il telegramma di ammissione ero nei campi di grano con zio Francesco, stavamo mietendo… Conservo dei primi giorni di scuola la sensazione di sentirmi come una spugna, con una grande voglia di imparare e confrontarmi con gli altri ragazzi. La sensazione di essere una spugna mi è rimasta ancora oggi: in 42 anni di carriera ho acquisito conoscenze ed abilità ma mi rendo conto che ho ancora tanto da imparare e una voglia enorme di farlo e giro per il mondo perché ho fame di cultura, di arricchirmi di esperienze diverse. Per lavoro sono stato in Grecia, Libano, Turchia e sono stato conquistato dalla bellezza del Mediterraneo che è un melting pot di culture. Se all’inizio ero una spugna rispetto alle conoscenze di cucina, ora la spugna assorbe anche la cultura dei territori.
Dopo esserti messo alla prova nel Mediterraneo, arrivi in America e immagino sia stato un impatto da far esclamare wow!!!
Non avevo programmato di trasferirmi in America, negli anni 80 non era una meta interessante dal punto di vista culinario, sono andato con la prospettiva di fermarmi un paio di mesi, il tempo di creare un nuovo menu per un ristorante: sono arrivato il primo aprile del 90 e oggi sono ancora lì… Fu un impatto fortissimo confrontarmi con la grandezza, tutto era più grande, le strade, le macchine, le case anche le persone erano più alte… un wow continuo. L’America colpisce con la sensazione di essere immensa.
Ho esclamato un altro wow altrettanto forte quando arrivai a Parigi per lavorare al Giorgio V, forse l’albergo più conosciuto in Francia, davvero una grande emozione.
Hai lavorato in cucine importanti: quale piatto rappresenta il momento della maturità della tua formazione?
Sicuramente il risotto che richiede una esecuzione perfetta, come mi ha insegnato Il Bianco, uno dei migliori maestri. Grazie a lui il “mio” risotto è sempre molto richiesto.
Lavorando e viaggiando in diversi paesi si è formata la tua personale cultura gastronomica: la cucina che proponi nei tuoi ristoranti è una cucina mediterranea?
Agli inizi, da poco uscito da scuola, era molto forte l’influenza della cucina francese che era il punto di riferimento internazionale. Oggi invece propongo una vera cucina mediterranea, forte di piatti semplici e salutari, dal carpaccio di pesce spada con l’arancia all’insalata di finocchi tagliati sottilissimi con le olive secche, piatti dal gusto delicato come la panna cotta allo yogurt. Non mancano i piatti della nostra tradizione come il baccalà con le patate e i peperoni cruschi, o con le cicorie e le rape, magari non servito in pezzi ma lavorato come una mousse. Mi piace riprendere i piatti tradizionali e presentarli in maniera diversa, far diventare il cibo un’esperienza. Una ricetta deve emozionarmi prima di essere messa in menu.
Oggi si punta molto alla creazione, alla costruzione di un piatto che deve stupire, a mettere insieme tanti ingredienti: forse si dovrebbe iniziare a semplificare, a puntare alla pulizia dei sapori…
A me più che inventare piace raccontare un piatto, non bisogna scervellarsi tanto, c’è già molto da dire, le soluzioni migliori già sono state trovate, basta solo elaborarle leggermente, renderle da rustiche più eleganti, si dice che si va sulla luna con le teorie di Galileo… La cucina italiana poi è la migliore al mondo perché abbiamo prodotti eccezionali regalo di madre natura che ha creato zone dal microclima differenziato dove hanno trovano il loro habitat ideale, il nostro paese ha 280 prodotti protetti.
“Al Tiramisù” l’attore principale non è Luigi ma il cibo, io e lo staff lavoriamo dietro le quinte perché il cibo sia una bella esperienza di gusto basata su prodotti di qualità. Una cucina semplice con le ricette icone della cucina italiana: fettuccine al ragù, pappardelle ai funghi, spaghetti al pomodoro, linguine alle vongole, insalata caprese ma preparate con pasta di buona qualità, saporite vongole che arrivano dal Portogallo, mozzarella fresca, pomodoro dalla giusta maturazione.
L’attenzione oggi deve spostarsi dallo chef all’ingrediente che dà vita al piatto ed educare la gente al gusto non omologato, alla stagionalità, alla consapevolezza sulla provenienza del cibo.
“Al Tiramisù”, bel locale d’atmosfera valutato qualche anno fa dal Washington Post come uno dei posti migliori dove andare a mangiare in coppia, un piatto molto richiesto sono i ravioli al caciocavallo.
“Al Tiramisù” appena si entra si è avvolti da un’atmosfera particolare, intima e conviviale allo stesso tempo. È frequentato da una clientela affezionata che ama trovare “quei” piatti che conosce e apprezza. Per me è davvero problematico cambiare il menu, ogni volta che ci provo i clienti insorgono, posso solo variare i condimenti seguendo la stagionalità. Senza togliere i piatti cult inserisco delle novità come la crema fredda di anguria e pomodori arrostiti, aromatizzata con qualche fogliolina di menta o con l’aggiunta di qualche goccia di yogurt, una ricetta di grande gusto che l’estate scorsa ha avuto un successo incredibile.
Sicuramente un must del mio menu sono i ravioli al caciocavallo: pasta fresca ripiena di ricotta e polpa di melanzana rossa cotta al forno con sale e pepe grigio, servita su fonduta di caciocavallo con l’aggiunta di foglie di salvia fritte. Un piatto da accompagnare con un calice di bollicine.
La ricetta dei ravioli ci riporta in qualche modo alle tue origini, alla Basilicata che ami profondamente e che vuoi promuovere anche attraverso la Onlus “Basilicata a way of living”
Partendo dalla convinzione che le tradizioni non debbano essere solo un ricordo nostalgico del passato ma che la loro riscoperta serva per andare avanti, sia l’inizio di un percorso, “Basilicata a way of living” vuole proprio valorizzare le tradizioni e trasmetterle, non solo per conservarle ma per costruire intorno ad esse progetti di sviluppo che rispettino l’identità di una comunità. Dobbiamo recuperare l’orgoglio della nostra identità e, convergendo tutti verso lo stesso obiettivo muovendosi nella logica del fare, cercare di creare microeconomia partendo da ciò che è proprio dei luoghi.
Con questo scopo hai promosso la seconda edizione del progetto “Sirino in Transumanza”, un evento che avrà luogo il 2-3 giugno alla Riserva Regionale Lago Laudemio, a Lagonegro.
“Sirino in Transumanza” è un progetto didattico, formativo e culturale che partendo dalla transumanza della podolica vuole valorizzare il bello e il buono che c’è sul territorio. Con la collaborazione di tanti soggetti operanti nell’area, Parchi Nazionali, Amministrazioni Comunali, Associazioni, abbiamo predisposto un programma ricco di eventi: laboratori didattici, lezioni di flora e fauna, escursioni, show cooking, degustazioni e stand di prodotti tipici e artigianato locale, l’elezione di Miss Podolica tra le vitelline, e poi canti e balli della tradizione folcloristica. Si vuole valorizzare l’antica tradizione dello spostamento delle mandrie a piedi lungo i tratturi recuperandone l’autentico significato antropologico e culturale: la transumanza è tragitto di collegamento e conoscenza.
Dalla sua valorizzazione possono anche partire progetti di turismo ecosostenibile con una buona ricaduta economica?
Gli antichi tratturi possono diventare percorsi turistici naturalistici, c’è molta richiesta di un turismo di questo tipo, e collegandoli agli agriturismi, alberghi, produttori, si può creare un’economia diffusa che, rispettando il territorio, lo promuove. La Basilicata è un patrimonio enorme ancora seminascosto, la transumanza lungo i tratturi va riscoperta come avviene nel Sud della Francia.
Quando parla della transumanza Luigi Diotaiuti mette ancora più energia nelle sue parole e il percorso antropologico diventa un cammino di conoscenza quasi spirituale, di scoperta che può regalare emozioni profonde. “Sai che seguendo una mandria in transumanza ho visto per la prima volta il mare? È stato incredibile lo stupore che ho provato di fronte a quello spettacolo!” e nei suoi occhi brilla ancora la luce della meraviglia.
Serenella Gagliardi