Massimo Biagi, botanico esperto di peperoncini, proveniente dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa, è responsabile del Comitato scientifico dell’Accademia italiana del peperoncino, il settore che studia la pianta e la sua biologia. Da lungo tempo si dedica alla predisposizione di una importante collezione di peperoncini, che vanta il primato di essere la più grande esistente al mondo con oltre mille varietà.
Per il Festival del Peperoncino di Diamante da anni allestisce una mostra ricca di colorati esemplari provenienti da tutti i continenti, differenti per forma e grado di piccantezza. Un variegato mondo piccante che spaziomediterraneo vuole conoscere meglio…
Quando si pensa al peperoncino si pensa al classico cornetto rosso o tuttalpiù al ciliegino: la mostra, invece, presenta una grande ricchezza di tipi, forme e colori che pare sia solo un assaggio della sua vasta collezione…
La diversità nel peperoncino è enorme: io sono arrivato a coltivare oltre 1600 varietà che tendono ancora ad aumentare grazie agli scambi con amici collezionisti che fanno selezione garantendo la purezza. Al Sud, dove è usuale consumare peperoncino, è generalmente coltivato e diffuso il tipo rosso portato da Cristoforo Colombo. In Italia fino al 1990 oltre quello non si conoscevano altre varietà, ben note in altri paesi da migliaia di anni, specialmente in America Latina. Ora c‘è una disputa fra messicani e peruviani che si contendono il primato della presenza più antica: i peruviani sostengono dodicimila anni, i messicani ottomila. Si tratta comunque di peperoncini di specie diverse perché in Perù si coltiva il Capsicum Pubescens e il Baccatum, in Messico il Capsicum chinense annuum e il frutescens.
Quando sono venuto la prima volta a Diamante, nel 1996, ho portato i miei frutti provenienti dall’America e dall’Asia e forse così ho anche “inquinato” la Calabria.
Non penso sia giusto parlare di inquinamento, è stato solo un allargare gli orizzonti, la conoscenza della diversità è sempre arricchimento. La mostra, sempre più ricca di esemplari, ė da anni una presenza importante del Festival. L’idea della collezione come nasce?
Io sono un collezionista. Al Dipartimento dell’Università di Pisa avevo una collezione di 450 varietà di pomodori, 110 varietà di piante di pelargonie, altre di fagioli, di basilico e di piante aromatiche. L’incontro con il peperoncino è avvenuto a Grosseto durante un pranzo da una signora peruviana che su un piatto di buona e profumata minestra di fagioli tagliò sottile sottile degli Aj. Non essendovi abituato minimamente fui colpito dalla piccantezza, anche se era solo media, e cercai di spegnerla ricevendo il primo insegnamento: Mai bere acqua sul peperoncino. Il colpo di fulmine però c’era stato: mi feci dare degli esemplari, piantai i semi, nacquero piante bellissime e divampò la passione. Chiesi altre varietà che fecero i frutti e con questi peperoncini peruviani gialli e arancione venni al Festival di Diamante di cui avevo letto su una rivista. Prima di andar via li portai a Enzo Monaco che mi propose di esporli ad un convegno a San Nicola Arcella il dicembre successivo. Fu quella la prima mostra, allestita attaccando buste con i peperoncini nella hall dell’albergo. Ebbe successo e ne è nata una collaborazione, oltre che un’amicizia, che da 20-25 varietà ha portato all’attuale collezione lavorando su 1650 varietà.
Le nuove acquisizioni della collezione sono scoperte di varietà esistenti o sono frutti di innesti e manipolazioni?
Non manipolazioni, si tratta spesso di ibridazioni naturali: l’opera degli insetti tra piante vicine determina degli incroci che diventano nuove varietà, degli ibridi che però non sono fissati. Oppure sono ibridazioni fatte dai botanici manualmente che hanno bisogno di tre generazioni per fissare la varietà, mettere il nome e registrarla. Il peperoncino tende sempre ad aumentare come numero ed aumenta anche in piccantezza: Carolina, il detentore del record, è frutto di un incrocio tra due peperoncini molto, molto piccanti che a loro volta erano frutto di ibridazione. L’Habanero esisteva in natura, il Naga è nato spontaneo. Le nascite sono accompagnate da tante storie affascinanti.
Ne racconti una…
Ricordo che nel campo degli Habanero che coltivavo trovai un pianta strana con un peperoncino rugoso. Era il Naga Morich, ma non lo sapevo, lo assaggiai e il piccante mi colpì: meno male che c’era un fico vicino e ne mangiai i frutti perché ‘bruciava’ tanto. Dopo qualche anno vennero fuori questi peperoncini rugosi e li riconobbi. Ma come erano arrivati nel mio campo? Erano arrivati per ibridazione naturale tra di loro e questa è la prova della tendenza ad aumentare. Ė un mondo infinito che cattura la gente, non solo i collezionisti.
Quest’anno la mostra presenta una novità, il Pimento del Sahara, una rara varietà originaria del Nord Africa. Come lo ha acquisito?
Mio nipote dai frequenti viaggi in Marocco, paese d’origine della moglie, mi portava sempre peperoncini, ma nel tempo si ripetevano gli stessi, quelli usuali che si trovano anche in Spagna. Alla ricerca di qualcosa di originale, in un mercato ha conosciuto un signore che gli ha procurato cinque semi, ma proprio cinque, che oltretutto sembravano anche vecchi e non si sapeva di cosa fossero. Io li ho seminati e dopo 42 giorni, quando ormai mi ero arreso, sono spuntate le piantine. Strane, dalle foglie lunghe e non sembravano peperoncino; i fiori poi cadevano appena si aprivano e non era possibile fare il seme per cui cominciai ad autoimpollinarli con un pennellino morbido. Così nacque il frutto, un piccolo peperoncino arancione, dalla piccantezza media ma molto persistente. È dal 2009 che lavoro a questa pianta che cresce bene, regge anche le fredde temperature invernali, è bella ma soprattutto è originale e per questo molto richiesta.
Il botanico Biagi si occupa anche del peperoncino in gastronomia?
Metto le mie conoscenze al servizio della gastronomia organizzando mensilmente nella zona di Pisa, dove vivo, della grandi cene per gli amanti del peperoncino, portando in tavola dieci salse fresche preparate da me, che spaziano da poco ad estremamente piccante, derivate da usanze tradizionali dei diversi paesi del Mediterraneo, dell’America Latina e dell’Asia e registro sempre un grande interesse, lo stesso che riscontro ormai un po’ ovunque. Ad esempio in Germania, a Brema e ad Amburgo, dove mi reco da tre anni, vedo che le persone si avvicinano al mondo del peperoncino con un’attenzione estrema e sempre crescente: in silenzio ascoltano, poi iniziano a tagliarlo e ad assaggiarlo correttamente partendo dalla punta ed eliminando la placenta.
Anche Dave DeWitt di Albuquerque nel New Mexico, riconosciuto il più grande esperto del settore, ora è diventato un gastronomo. Questo passaggio avviene perché agli appassionati non basta più solo seguire il peperoncino nel campo ma vogliono farlo conoscere a tavola, dimostrare che non è solo piccante, ma è un insaporitore che serve a dare al piatto qualcosa di più.
Non solo la nota piccante ma un particolare aroma e gusto…
Ora che il peperoncino è diventato di moda anche i grandi chef lo usano, spesso male. Ho sentito uno di loro, uno famoso, sostenere in televisione che per levare piccantezza basta togliere i semi, cosa non vera perché i semi non hanno la capsaicina. Ma vi sono le eccezioni: Fabio Campoli, ad esempio, da anni lo studia e rispetto al peperoncino ė quello più avanti di tutti perché ha capito che in un piatto non basta mettere un peperoncino ma sapere quale tipo utilizzare a seconda del sapore e del profumo che si vuole dare.
Io propongo sempre agli scettici di provare prima un piatto senza peperoncino, poi aggiungere quello da noi suggerito: il piatto cambia, ma migliora se si usa il peperoncino adatto.
Esistono delle linee guida all’utilizzo, come si fa a sapere quale peperoncino è adatto a quel tipo di pietanza?
Bisogna conoscerne tutte le caratteristiche e non solo la piccantezza, che in ogni caso deve essere media. Oggi c’è la ricerca affannosa del più piccante che è sbagliata: la maggior parte delle persone da me non vogliono sapere qual è il più buono ma conoscere il più piccante.
Ho letto una storia su Dave DeWitt: una volta, quando era giovane, fu notato da una commissione di tutela (istituita per evitare che soprattutto certe varietà andassero via all’estero) mentre girava in un campo di peperoncini del New Mexico, prendeva un frutto, lo spezzava e lo provava con la lingua. Alla richiesta di spiegazioni rispose che avrebbe avuto ospiti a cena e voleva trovare per loro peperoncini buoni, non solo peperoncini piccanti. Questa è una delle più belle frasi che si può desiderare di sentire nel mondo del peperoncino.
Io preferisco i moderati, l’Habanero lo consumo ma non lo metto in un piatto perché ha un profumo diverso, consiglio Poblano, Jalapeno e simili se si vuole qualcosa di diverso dai nostrani.
I peperoncini mediterranei hanno qualche caratteristica comune, sapendo che le varietà subiscono mutazioni di gusto e di intensità di piccantezza a seconda dei terreni di coltura?
I mediterranei sono i classici cornetti che si trovano anche nella fascia nord africana e in Spagna, i Capsicum annuum, molto piccanti nella immediatezza ma se si misurano nella scala Scoville sono abbastanza bassi rispetto agli Habanero che riempiono la bocca e sono molto profumati. I Capsicum annuum danno solo il morso, ti mordono quando li mordi, e io ritengo che siano più buoni dei sudamericani per farci la polvere adatta alla conservazione e utilizzata anche per i salumi. Ogni peperoncino ha la sua particolare identità.
Il piatto piccante che preferisce?
Due piatti toscani che mi ricordano mia madre che diceva “qui ci vuole un poco di zenzerino”, quando cucinava una piccola zuppa di pesce, il cacciucco, o le triglie alla livornese e nel sugo di pomodoro metteva qualche pezzettino di peperoncino. Io lo metto ovunque ma sempre moderatamente. Nella pasta alla puttanesca tutti mettono un poco di piccante ma io con un poco di Jalapeno, che è quello “giusto”, la rendo più buona di tutte!
Intervista di Serenella Gagliardi
Massimo Biagi suggerisce agli amici di spaziomediterraneo due stuzzicanti ricette.
Imbottire dei peperoncini messicani Jalapeno di formaggio, avvolgerli con la pancetta e grigliarli al barbecue oppure imbottire dei Rocoto peruviani, l’unica varietà con i semi neri, e friggerli in olio bollente. Un’esplosione di gusto assicurata!