Ci sono delle giornate nella vita non legate a grandi avvenimenti ma che restano per sempre impresse nella memoria e che è possibile rivivere fotogramma dopo fotogramma, insieme ai suoni e agli odori, alle atmosfere respirate ed alle emozioni provate. Giornate uniche e particolari.
Così è stata per il team di spaziomediterraneo quella trascorsa in Israele a Daliyat el-Karmel, un villaggio druso sulle pendici del monte Carmelo, ospiti di una famiglia religiosa, grazie alla mediazione umana, prima che culturale, della nostra amica Laura, professoressa dell’Università di Haifa. Una giornata ricca di emozioni per tutti, italiani e drusi, che ci ha visto condividere non solo il cibo, quanto, nell’intimità di una casa, la sua preparazione in cucina, accompagnata da chiacchiere, risate e molti sguardi, occhi negli occhi, per comunicare prima e oltre le parole. Una giornata particolare, impressa come un’istantanea, che non possiamo che raccontare al presente.
Alle 8 di una calda mattina israeliana, con il sole già alto nel cielo, Fatmia e il marito Nasbi ci aspettano per la colazione appena fuori città, in un giardino profumato di erbe odorose. Sono vestiti secondo le regole della loro religione: abiti neri in segno di lutto per il massacro dei drusi, un velo intorno alla testa per lei e un piccolo copricapo per lui, entrambi bianchi.
Fatmia, madre di due figli e nonna di due bellissime bambine che chiama “cuore di nonna”, è una donna piccola di grande energia che porta avanti la famiglia con impegno e, come scopriamo subito, piglio manageriale: organizzazione, velocità ed efficienza sono le sue caratteristiche. Insieme ad un caldo sorriso.
Ci accoglie un profumo delizioso di cose buone cotte al forno: sono le mhammar, le focaccine di pita speziate, appena sfornate e davvero invitanti, che fanno bella mostra di sé sul tavolo pronto per la colazione, con pomodori e cetrioli, sotto il pergolato di uva bianca, dagli acini piccoli e dolci, che Nasbi raccoglie per noi.
Ė la stessa colazione che preparano il sabato per i figli e le nipotine che oggi, invece, non verranno perché tutte le attenzioni devono essere rivolte a noi… agli stranieri.
Le mhammar sono gustose e ci facciamo ripetutamente tentare; i nostri ospiti, intanto, iniziano a raccontare delle loro abitudini ed usanze familiari, religiose e culturali. Laura traduce tutto, ed il leggero imbarazzo iniziale lascia spazio ad un’atmosfera di rilassata confidenza: parliamo lingue diverse, ma la condivisione del cibo crea uno spazio senza nazionalità.
Ci sentiamo un gruppo di amici che trascorre insieme una calda e polverosa giornata di luglio.
Ci sentiamo a casa mentre siamo a mezz’ora di macchina da Haifa, città nel nord di Israele.
Dopo aver fatto colazione, ci mostrano la bella villetta che stanno costruendo per il figlio perché nella loro cultura ė l’uomo che nel matrimonio porta in dote la casa. Nel giardino che la circonda Fatmia ci mostra le sue aiuole di erbe aromatiche e ci spiega i loro usi in cucina.
Insolita per noi è la profumatissima pesciàm che si utilizza per insaporire le olive.
Raccogliamo le foglie di vite, quelle più belle, senza macchie e non toccate dagli insetti, che serviranno per preparare gli involtini, i warakenep, e ci trasferiamo a Daliyat centro, a casa loro, dove vivremo la nostra esperienza culinaria drusa, un insieme di sapori ed emozioni.
Un centrifugato di carote compare nei bicchieri con il ghiaccio alla velocità della luce ed iniziamo a preparare con Fatmia le diverse portate del pranzo che lei ha previsto per oggi. Tutto è semplice, spontaneo, piacevole. Non ci sono barriere linguistiche o culturali a frenare l’entusiasmo del cucinare insieme e della curiosità reciproca.
E dopo un po’ Nasbi inizia a raccontare la loro storia. Lui ha vent’anni, la vede passare, se ne innamora e la chiede in sposa al padre di lei, promettendo una casa e tanta buona volontà. Sono giovani, hanno poche risorse economiche, ma grande voglia di costruire insieme un futuro per loro e per i figli che arriveranno. E così faranno, investendo ogni Shekel guadagnato nella costruzione della loro casa e nell’istruzione dei due figli che cresceranno bravi e belli.
Li vediamo diventare grandi scorrendo l’album delle fotografie, che occorre sfogliare partendo dall’ultima pagina.
Ci sono anche quelle del matrimonio della figlia Laila, una festa per 400 persone organizzata nello spiazzo davanti casa e sul terrazzo, con il cibo preparato dalla zia della giovane sposa, bellissima in posa in un abito bianco leggermente trasparente sui fianchi. Non c’è lo sposo perché si tratta solo (!) della prima festa, quella organizzata dai genitori della sposa per i loro amici; poi l’usanza vuole che tutti vadano a casa dello sposo dove i festeggiamenti continuano…
Ci sono le foto di un viaggio in Giordania con i ritratti delle persone lì incontrate, quelle che definiscono ‘loro amici’ per il solo fatto di essere drusi. Così impariamo che l’identità di gruppo è al di sopra di tutto e poiché ė necessaria la compattezza è proibito il matrimonio misto. I drusi, ci dice Nasbi, hanno l’impegno di essere sempre leali nella vita e non lottano per un ideale nazionalistico, non vogliono avere un loro Stato ma sono fedeli a quello dove vivono: in Israele prestano servizio nell’esercito offrendo spesso il sacrificio di giovani vite.
Non ci dà spiegazioni sulla religione perché è segreta, nota solo a pochi saggi e c’è il divieto, rigorosamente osservato, di rivelare ai profani la dottrina e i riti: quando arriverà il messia la svelerà a tutto il mondo.
Nel frattempo i preparativi fervono. Fatmia si muove veloce in cucina, dove tra vari mixer, centrifuga e sfogliatrice per la pasta (per la quale ci chiede spiegazioni) trovano posto tante conserve, soprattutto nelle bottiglie di plastica, metodo per noi inusuale: non solo burghul, ceci e olive, ma anche foglie di vite perfettamente stese e ordinatamente impilate.
Fatmia taglia, trita, miscela, cuoce… in tre ore tutto è pronto e si può imbandire la tavola nel salone principale della casa, dove è presente un bel lavabo a vista, come vuole la tradizione degli arredi interni. Con le papille gustative in fibrillazione, ci accomodiamo intorno ad un tavolo lungo e basso, sotto lo sguardo orgoglioso di Fatmia e Nasbi che offre a ciascuno una pita drusa ed una pita israeliana per accompagnare le pietanze.
Sachten! Buon appetito!
La pita drusa è sottile, quasi impalpabile: Nasbi ne stacca un pezzo e lo farcisce con la tahīna, la tipica salsa di sesamo mediorientale e con un falafel, la polpettina di ceci speziata. Osserviamo con attenzione e ripetiamo i suoi stessi gesti. Ė un boccone delizioso! Altrettanto buona ė la pita con babaghanush, la crema di melanzane cotte intere al forno, poi sbucciate e pestate a mano.
C’è ancora tutta una festa di sapori e colori che ci aspetta: warakenep, gli involtini di foglie di vite ripieni di riso, avvolti sottilmente come un cigarillo che ci siamo cimentati a preparare e che Fatmia puntualmente ha riaperto e ci ha fatto rifare se non riusciti alla perfezione!; tabboule, insalata di prezzemolo, menta, cetrioli, porri e bulgul; kubbeh, una specie di polpettone speziato di patate, cipolle e bulgur; majadra, lenticchie stufate con un soffritto di cipolla e bulgur; il riso cotto con il brodo di carne di vitello e pollo (i drusi non mangiano maiale), condito con spezie aromatiche e servito con i pezzi di bollito, più mandorle e pinoli tostati.
E ancora cipolle intere in agrodolce, cetriolini e il formaggio lebaneh di produzione locale.
Infine il caffè arricchito dal gusto di una spezia chiamata hell, tutto accompagnato da un intreccio di chiacchiere infinite e dal piacere del buon cibo in buona compagnia.
Dopo pranzo facciamo un’incursione al mercato del sabato dove tra le altre cose acquistiamo l’utensile per fare i falafel e barattoloni di tahīna artigianale progettandone l’utilizzo in ricette diverse da quelle tradizionali: la nostra non è forse una cucina contaminata per definizione?
Poi visitiamo la grotta del Profeta, il sacrario dei loro caduti in guerra, il Monastero del Carmelo, luogo sacro per cattolici e drusi, dove ci accomodiamo insieme sugli scanni e, dopo aver acceso una candela votiva, preghiamo per la pace, ciascuno secondo il proprio credo.
Dalle terrazze del monastero lo sguardo spazia tra campi coltivati e villaggi e da un lato, oltre l’afa del pomeriggio, si rivela una sottile striscia azzurra: è il Mediterraneo!
Nella bella e moderna casa di Laila conosciamo una giovane famiglia innamorata dell’Italia e del suo cibo, che invitiamo a venire a trovarci, e dopo caffè e pasticcini, pistacchi, arachidi e Coca Cola zero (per mantenere la linea!) arriva il momento malinconico dei saluti.
Siamo stati bene insieme e siamo consapevoli delle distanze che ci separano ma abbiamo sperimentato come ci si possa sentire vicini nella diversità e ci sentiamo arricchiti.
spaziomediterraneo è pronto a far vivere l’esperienza di una giornata con Fatmia e Nasbi a chi vorrà seguirci nell’idea di condividere il cibo e il tempo buono come segno di pace e rispetto tra i popoli.
spaziomediterraneo non è un agenzia turistica, ma organizzerà questo splendido tour per tutti coloro che vorranno. Per info scrivere a info@spaziomediterraneo.com