L’estate finisce in dolcezza… è tempo di fichi

  admin   Set 20, 2015   Editoriale   0 Comment

Quando l’estate sta per finire e si stempera in dolcezza è tempo di fichi. Dolci e carnosi, racchiudono nella morbida polpa tutto il calore del sole del Mediterraneo di cui sono tra i frutti più tipici. Impossibile pensare al paesaggio mediterraneo, dalla sponda nord alla sponda sud, dalla Spagna alla Turchia, senza la presenza, insieme all’olivo e alla vite, dell’albero del fico che, originario dell’Asia Minore, si è ampiamente diffuso in tutto il bacino grazie alle favorevoli condizioni ambientali.

 

 

 

 

 

 

 
La pianta, tenacemente ancorata alla terra, affonda ed espande le radici alla ricerca di acqua e nutrimento oltre l’aridità dei terreni bruciati dal sole, con la sua snella solidità sfida senza protervia le angherie del clima caldo e secco, le grandi foglie come mani rugose tese a catturare gli aromi salmastri portati dal vento.

Ha una storia millenaria, vecchia come il mondo: sembra che fu un errore di trascrizione della Bibbia in latino a trasformare l’albero del male nell’albero del melo e che invece il frutto proibito fosse il fico, unica pianta dell’Eden menzionata nella Genesi. Vi si legge che Adamo ed Eva, dopo averlo mangiato, si accorsero di essere nudi e si coprirono intrecciando cinture con le sue foglie, realizzando così il primo indumento della storia, espediente poi ampiamente utilizzato nelle arti figurative classiche.

Se già per Aristotele e altri autori classici era pianta coltivata “da sempre”, i moderni ritrovamenti archeologici hanno confermato che il fico veniva coltivato già nel Neolitico, probabilmente per la facilità della sua riproduzione, mille anni prima dei cereali.

Una presenza così prolungata nel tempo e diffusa nello spazio non poteva non permeare nel profondo le civiltà mediterranee tanto da assumere significati simbolici.
Il fico sicomoro era per gli Egizi “l’albero della vita”, simbolo di immortalità collegato alla rinascita di Osiride. Il fico era anche la pianta consacrata al dio Dioniso per i Greci e per i Romani sacra a Marte e fausta perché connessa alla fondazione di Roma, essendo state proprio le radici affioranti di un fico a salvare dalle acque del Tevere Romolo e Remo, figli illegittimi di Marte.

Nella Bibbia viene citato spesso come simbolo di abbondanza e identifica, insieme alla vite, la prosperità del regno di Salomone. Al contrario, l’assenza del fico e dei suoi frutti è segno di tempi bui, dovuti all’infedeltà di Israele al suo Dio.
Pianta importante anche per la cultura islamica come testimonia la Sura del Corano XCV At-Tîn (Il Fico), nella tradizione ebraica rappresenta il popolo di Israele, i suoi frutti la legge, la Torah: la stagione dei fichi è il tempo del giudizio.

Il frutto è anche legato dall’antichità all’immaginario erotico: gli ellenici, usavano il termine “sykon” (fico) per indicare i genitali femminili, probabilmente dalla forma che assumono se spaccati in due, rappresentavano invece gli attributi di Dioniso per i Romani che li consideravano, così come i Greci e gli Egizi potenti afrodisiaci e potenziatori della resistenza sessuale.
Anche per la Scuola Medica Salernitana, importante istituzione sanitaria Medioevale, il fico aveva proprietà di eccitante erotico: “Provoca lo stimolo venereo anche a chi vi si oppone”.
Da antico eccitante a propiziatore della fertilità per la medicina popolare che consigliava alle coppie sterili di staccare due foglie da un albero a luna crescente e metterle sotto i rispettivi cuscini per influenzare benevolmente la procreazione.

Da millenni i fichi fanno soprattutto parte dell’alimentazione delle popolazioni mediterranee.
In un sito archeologico in Israele abitato oltre 11.000 anni fa, sono stati ritrovati alcuni fichi interi e altri in pezzi, probabilmente trattati per essere consumati successivamente.
Bassorilievi e dipinti raccontano come nell’Antico Egitto i fichi venissero coltivati, raccolti, salati ed essiccati al dolce, stipati per la conservazione in appositi depositi. Erano apprezzati anche dagli Etruschi.

Fichi e pane d’orzo con formaggio di capra costituivano il pasto dei Greci, soprattutto delle classi sociali meno abbienti e dei componenti dell’esercito e della marineria. Essendo l’alimento principale della gente povera ma indispensabile alla vita dello stato, esportarli era proibito così severamente da originare la categoria dei Sicofanti, cioè di coloro che denunciavano alle autorità gli esportatori.
A diffonderli nel Mediterraneo contribuirono i Fenici per i quali i fichi rappresentavano l’alimento principale durante i lunghi viaggi in mare.

I romani che li importavano anche dalle coste africane, ne furono grandi consumatori ed estimatori.
Ne conoscevano numerose varietà e si cimentarono in efficaci tecniche di coltivazione come l’inoliazione, consistente nel pungere con un ago intinto nell’olio l’occhio del fico (ostiolo) per favorire l’ingrossamento e la maturazione dei frutti, tecnica ancora oggi in uso.

Il pasto frugale della dieta romana quotidiana elogiato da Seneca consisteva in fichi secchi e pane che erano, insieme alle cicerchie, alle olive e al pecorino l’alimentazione base dei legionari romani nelle lunghe trasferte di conquista.
Da allora e almeno fino alla metà del secolo scorso i fichi, in particolare quelli secchi, hanno avuto un ruolo importante nell’alimentazione mediterranea rappresentando fonte di sostentamento economica ed energetica.


In tutti i paesi del Mediterraneo tante le ricette che impiegano i fichi secchi nella preparazione di dolci, molto spesso insieme al miele, soprattutto in occasione di festività, forse in ricordo dell’antica tradizione di Roma riferita da Ovidio secondo la quale a capodanno era usanza offrire ad amici e parenti fichi secchi e miele come augurio di fortuna e di salute per il nuovo anno.
La cucina mediterranea moderna tende non solo a tramandare le preparazioni tradizionali ma utilizza i fichi anche in ricette salate che, accostando il sapore dolce agli altri sapori, richiamano il processo di dolcificazione, principio base della cucina antica e medioevale e riecheggiano preparazioni islamiche.

Dal tempo dei profeti ‘stare sotto il fico’ significa sostare in un luogo adatto alla meditazione.
In questa dolce fine estate sediamoci sotto la nostra personale pianta di fico e chiudiamo gli occhi. Pensiamo ai giardini pensili di Babilonia, ai frutteti assiri, alle sponde dell’antico Egitto, alle terre di Ulisse, ai possedimenti di Roma, ai giardini dei Sultani, agli orti dei monaci medioevali: il fico c’era, coltivato e mangiato da genti che parlavano lingue diverse, avevano usi differenti, non pregavano lo stesso dio. E allora, ‘stando sotto il fico’, riflettiamo sul nostro stare insieme per così tanto tempo da diversi, su quanto ci ha arricchito, sentiamo dentro di noi il valore della storia condivisa, recuperiamo l’orgoglio di essere mediterranei. Poi alziamoci e che ciascuno faccia la sua parte. Il Mediterraneo è il Mare nostrum…

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